Il bullo e i suoi compari

Il primo punto per affrontare il discorso del bullismo è la definizione, la più chiara ed estesa possibile, del bullo e dei suoi compari.

Chi è il bullo?

La personalità del bullo si delinea e si configura dalle vicende della sua primissima infanzia e ha come capisaldi:

  1. la percezione da parte del soggetto, bimbo di pochi anni, di uno scarso amore nei suoi confronti da parte delle figure parentali e di chi lo circonda
  2. la consapevolezza di non essere in grado di generare affetto o di indurre benevolenza verso di lui
  3. il senso di inadeguatezza nell’affrontare e superare situazioni difficili, emotivamente coinvolgenti
  4. il senso di colpa per le fantasie aggressive verso le figure parentali ed affini alle quali comunque il soggetto vuole sinceramente bene
  5. la continua frustrazione per gli scarsi risultati, in termini affettivi, con la conseguente ansia da prestazione.

A partire da questi presupposti il soggetto per sopravvivere costruisce una sovrastruttura reattiva, che ingloba e nasconde il caos interiore, e che funge da matrice per generare la personalità del bullo ed i suoi comportamenti.

Aggressività, insensibilità (anche al dolore), sprezzo del pericolo, dispregio delle regole, menefreghismo, arroganza, prevaricazione, violenza verbale e fisica, scarsa dedizione allo studio, contrapposizione con gli adulti in specie se rappresentano l’autorità, bugiardo, inaffidabile, infingardo, falso, strafottente, borioso, irresponsabile, mellifluo, arrogante, anaffettivo, freddo, calcolatore, faccia di bronzo, temerario: questi i connotati che lo contraddistinguono e con i quali si ha a che fare. Mai dimenticarne uno, potrebbe essere proprio quello il grimaldello usato dal bullo per sopraffare la sua vittima.

Chi sono i suoi compari?

I compari del bullo, i suoi tirapiedi, appartengono alla categoria dei mediocri vigliacchi: da soli non sono in grado di offendere nessuno per totale assenza di coraggio, avendo comunque in mente il desiderio di ferire coloro dai quali si sentono umiliati. Vivono un complesso di inferiorità che cercano di nascondere in tutti i modi adottando comportamenti quasi sempre falsi e melliflui, sono invidiosi poiché sono consapevoli, e ciò provoca risentimento, della loro pochezza.

Ai quadri suddetti, così delineati, va data ampia pubblicità con cartelli affissi negli anditi della scuola, in classe con gli specifici richiami della personalità del bullo e dei suoi compari (che vanno sempre citati perché sono l’humus nel quale cresce e dal quale si alimenta il fenomeno), ed ancora sul sito internet della scuola o sui social che gli studenti frequentano con slogan (da approntare) semplici ed efficaci.

Se siamo convinti che la comunità scolastica debba essere considerata il prototipo di una società in miniatura, e poiché è bene che le problematiche intercorrenti tra gli studenti siano risolte tra di loro, si suggerisce di lasciare agli studenti il compito di affrontare i casi di bullismo, riservando agli adulti il compito di supervisionare procedure e risultati oltre quello di ratificare le decisioni prese dagli studenti stessi.

A tal fine è utile la creazione di un gruppo di supporto per tutti coloro che si trovassero in difficoltà, formato da studenti di varie classi, selezionati e nominati dai docenti, al quale potersi rivolgere ogniqualvolta si verificassero episodi di bullismo. Tale organo, composto da otto studenti, nominati dal collegio dei docenti, dovrebbe avere una sede nella scuola, un recapito, un referente sempre reperibile, una propria autonomia. Tutti gli studenti dell’istituto dovrebbero essere messi al corrente della sua esistenza e delle sue funzioni oltre che delle modalità e i riferimenti da utilizzare per rivolgersi a loro.

Al gruppo verrebbe attribuito il potere di convocare, sentire, esaminare gli attori del problema bullismo, ovvero il bullo, i suoi compari, gli studenti oggetto dei soprusi, per poi decidere quale condotta suggerire e far rispettare, per incanalare le vertenze verso una vita sociale soddisfacente per tutte le parti.

Il gruppo ricevuta la segnalazione o la richiesta d’aiuto, avrebbe il potere di indagare sui fatti segnalati, di convocare il bullo e i suoi eventuali compari, come pure i soggetti che avessero subito il sopruso, sentendoli per avere chiaro il nocciolo del problema. In seconda istanza convocherebbero tutti i protagonisti della vicenda davanti un’assemblea degli studenti dell’istituto, per esaminare collegialmente i fatti accaduti e per mettere a nudo i comportamenti emersi.

L’assemblea ha il significato di coinvolgere l’intero gruppo degli studenti per renderli partecipi e corresponsabili della vita sociale di quella comunità. E come in ogni società che si rispetti a qualcuno deve essere dato il compito di amministrare la giustizia (perché non educare i giovani da subito a districarsi nelle controversie?), con il potere di emettere una sentenza vincolante per gli attori, sentenza alla quale poi gli organi scolastici darebbero seguito senza alcuna interferenza.

Il bullo potrebbe decidere di non presentarsi perché non riconosce l’autorità del gruppo, ma dopo una seconda convocazione se non si presentasse interverrebbe il preside sospendendolo per una settimana, la prima volta, per quattro se mancasse anche la seconda convocazione, per otto se non si presentasse neanche alla terza. Certamente verrebbero sentiti i suoi genitori ai quali il gruppo esporrebbe il caso cercando di coinvolgerli positivamente.

Non mancherebbe la convocazione per i suoi compari che, in assenza del capo, saranno pronti a tradirlo, è la loro natura, e a chiedere scusa promettendo di non cadere più nell’errore (ovviamente in attesa del ritorno del capo).

Se l’obiettivo educativo di una madre nei confronti del figlio in tenera età è quello di avviarlo verso l’autonomia (purtroppo oggi molti genitori disattendono questo traguardo), il compito della scuola, oltre ad istruire, è quello di responsabilizzare gli studenti a prendere in mano la loro vita per costruire una condotta sociale rispettosa, positiva, e con riferimenti morali e spirituali certi.

La trasmissione di responsabilità avviene con la cessione di poteri agli studenti, che debbono imparare a gestire le problematiche tipiche delle relazioni giovanili, bullismo compreso, tra di loro, senza dover far riferimento agli adulti, che saranno solo spettatori di un percorso di crescita opportunamente avviato e supportato.

La ratio sta nel fatto che proprio attraverso il coinvolgimento e la compattezza della gran parte degli studenti si può vincere prima la battaglia e poi la guerra nei confronti di quei pochi prepotenti, e dei loro accoliti, che infestano le scuole e creano disagi nei confronti di chi invece intende la scuola come luogo di studio, di formazione e di crescita personale e collettiva.

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