Il calcolo vettoriale del movimento

Stare in piedi in posizione eretta è un’acquisizione genetica datata nel tempo, posizione per la quale, come per il camminare ed il correre, il calcolo vettoriale è automatico; il nostro cervello conosce già il valore del vettore, risultante finale della contrazione di ogni singolo muscolo, e lo applica senza difficoltà, ovvero ci muoviamo con naturalezza e facilità, senza commettere errori.

Bastano pochi anni al bambino per padroneggiare questo complesso calcolo e solo un disturbo neurologico può creare problemi. Abbiamo imparato a farlo nella nostra evoluzione e non abbiamo bisogno si imparare nulla.

Non è invece così semplice quando si tratta di apprendere, di calcolare, movimenti complessi nuovi e sconosciuti, che non appartengono al bagaglio genetico.

Partiamo dalla posizione eretta, siamo in piedi ed il vettore che opera è esattamente quello che passa per il nostro baricentro, baricentro che costituisce il valore più basso del vettore, quello che costa meno fatica. Dobbiamo solo contrastare la forza di gravità con una tensione muscolare di segno opposto e di opposto valore. E questo lo sappiamo già fare da quando l’uomo ha abbandonato l’andatura a quattro zampe. Ma appena iniziamo a fare il primo passo il calcolo vettoriale, ancora automatico e noto, diviene più complesso. Per semplificare assumiamo il movimento di gruppi muscolari antagonisti quali vettori che si combinano con la gravità e lo spostamento del baricentro (che si lateralizza), se poi decidiamo di correre dobbiamo anche calcolare l’accelerazione, l’energia cinetica e quella potenziale. Dovendo dopo qualche tempo fermarci dobbiamo poi far entrare in gioco i vettori negativi che ci permettono d’arrestarci. E ripetiamo siamo ancora nel campo del già acquisito.

Se ci addentriamo in sequenze di movimento che non sono nel nostro bagaglio genetico, come giocare con un pallone, allora il calcolo vettoriale dobbiamo imparare a farlo esattamente come quando impariamo le tabelline.

(continua)

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