Quando eravamo bambini, uno dei giochi preferiti era la gara con le biglie di vetro nella pista scavata nel tufo. La predisposizione del percorso, realizzato con la collaborazione di tutti, iniziava da un tracciato lungo e tortuoso che andava scavato nel tufo, tracciato corredato di numerose buche che si completava con una rifinitura meticolosa: la lisciatura di tutte le pareti ed intorno alle buche, tale che le biglie trovavano difficoltà nel fermarsi in un qualsiasi punto, salvo esaurire completamente la spinta e l’abbrivio. Il percorso iniziava solitamente con una lieve salita che curvava a gomito e subito appresso veniva collocata una buca, inevitabile e difficilissima da superare. La regola generale era che quando si cadeva in una buca si tornava alla partenza.Quasi nessuno era in grado di superare quel primo tratto di percorso ed era tanta la fatica di dover tornare sempre a cominciare che alla fine venne presa la decisione di iniziare da dopo quella prima, difficilissima, maledetta buca. Che restava lì a memento.Diveniva così tutto più facile, interessante ed era sempre divertente.Oggi, nel leggere un articolo comparso sulle Scienze sul come si formarono i primi buchi neri massicci, riflettendo sulle modalità col le quali la scienza affronta i problemi della conoscenza, mi è apparsa evidente la somiglianza con il gioco della pista e della buca impossibile.Anche gli scienziati di fronte all’impossibilità di studiare l’origine prima dei fenomeni, adottano la strategia di saltare la prima buca e di cominciare la gara, ovvero la ricerca, subito dopo questa.Il problema sta nel fatto che questo approccio è ormai diventata la prassi in ogni ambito scientifico e personalmente ritengo sia un impedimento di notevole peso nella ricerca della conoscenza più profonda. Di certo facilita i percorsi che s’intraprendono, ma pone un limite che non dovrebbe esistere nell’arco dell’orizzonte: è come voler vedere con un occhio solo e l’altro socchiuso. Forse è il caso di aprirli entrambi e sgranarli come fanno i bambini, che sono i soli a vedere senza alcun pregiudizio.Prendiamo in esame il big bang. Poco prima del momento iniziale, viene ipotizzato, la temperatura del “seme” era di valore infinito, e quindi, stando alle regole della fisica, le particelle che generavano il calore si muovevano a velocità infinita! Esiste allora qualcosa che sembrerebbe superare la velocità della luce! Lo stesso processo inflazionario dovrebbe essere avvenuto a velocità superiori a quella della luce, ma, si dice, quel momento fuoriesce dalle regole di funzionamento dell’universo, ecco la prima buca insormontabile, ed allora non teniamone conto.Se i miei ricordi da studente di fisica non m’ingannano, l’angolo del cono che disegna l’universo nella sua evoluzione, poi considerato piatto per facilitare i calcoli, dipende dalla velocità della luce, aumentando la velocità l’angolo cresce e diventa angolo giro quando la velocità della luce diviene infinita (il big bang si proietta in tutte le direzioni per come il senso comune vuole).La velocità della luce, un parametro fondamentale per tutta la fisica moderna, ma, pensateci bene, un limite, estremamente condizionante, all’orizzonte della conoscenza. Concludo sottolineando il fatto che se nell’universo la materia nota e quella sconosciuta, nata dal big bang, è un valore finito, che cosa, se non la velocità delle particelle elementari può essere la variabile che l’ha costruito come lo conosciamo?