Nell’educare i figli i genitori debbono avere come obiettivo generale quello d’insegnare loro ad essere felici, che si traduce nel far apprendere un sistema di regole da rispettare come e fornire gli strumenti “della ragione e del cuore” per superare quegli stessi vincoli; significa insegnare a vivere “creativamente”, “con curiosità”, “con disponibilità”.
Questa meta deve cominciare ad essere raggiunta dai primi giorni di vita.
Prima s’inizia meglio é: ciò che il bambino impara da piccolo diviene per lui un habitus interiore che lo guiderà in ogni suo comportamento nel corso della vita intera.
L’azione educativa deve esplicarsi in ogni momento della giornata. Non esistono occasioni educative specifiche. Ogni atto dei genitori è un comportamento educativo ed i bambini da ciò traggono personali il loro insegnamento.
I bambini capiscono e ragionano da appena nati e lo dimostrano comportandosi nel modo più utile per produrre per se stessi situazioni gradevoli e per evitare quelle spiacevoli (i bambini tendono naturalmente alla “felicità”).
Per comprendere le affermazioni generali prendiamo in esame un capitolo importante della vita del bambino, quello alimentare, e vediamo come si può esplicare in esso l’azione educativa.
L’obiettivo educativo in relazione all’alimentazione é quello di far capire al bambino che, sì, può soddisfare le sue esigenze, ma limitatamente a quanto realmente gli occorre e un poco adattandosi ai tempi ed alle necessità della madre e della famiglia intera.
Alimentarsi é per un bambino un piacere ed é proprio sulla limitazione del piacere che si interviene educativamente. Alcune mamme soddisfacendo “il continuo appetito” del proprio figlio ritengono di aver pienamente assolto il loro compito e pensano di allevarlo bene.
In realtà non é così poiché é totalmente mancante la prospettiva educativa. Il comportamento suddetto sarebbe corretto se l’obiettivo fosse il mero aumento di volume e di peso del bambino, ma questa finalità oggettivamente e coscientemente nessuno dichiara di perseguirla.
Nel caso di un bambino sano alimentato al seno sappiamo per certo che egli assume la quantità di latte che gli occorre per crescere in 4-5 minuti; il resto della poppata é “divertimento”, che può essere concesso, ma in misura limitata (altri 5 minuti). Un tempo complessivo di 10 minuti per la poppata é, sotto il profilo educativo (ed anche alimentare), il tempo giusto.
La regola pertanto é la seguente: “Al bambino va concessa una quantità adeguata di cibo, da assumere in un tempo adeguato ed al momento giusto”.
E nel definire il preciso significato del termine adeguato va ricordato che in questo caso é preferibile sbagliare per difetto che per eccesso, e ciò vuol dire che é preferibile dare meno cibo in meno tempo, piuttosto che l’opposto.
A proposito del tempo giusto. Se é vero che alla mamma non occorre tenere in mano un cronometro, é altrettanto vero che non si può dimenticare l’orologio. Voglio dire che non serve né la pignoleria di un tedesco, né l’affidarsi ai ritmi del bambino: una certa elasticità é il modo più semplice per gestire il problema. Se all’ora della poppata (o della pappa) il bambino dorme saporitamente non lo si svegli, ma se dopo due ore dorme ancora allora non é proprio il caso di lasciarlo dormire (ed é anche il caso, non essendo ciò normale, di consultare il pediatra per “organizzare meglio” la sua alimentazione).
Quali sono i vantaggi che derivano dall’attuazione di questi intendimenti educativi è facile capirlo.
A partire da una regolarità (quantitativa, qualitativa e temporale) nell’alimentazione, il bambino incomincia a costruire nella sua mente sia una cronologia di eventi (la mamma prima di mangiare lo cambia, poi lo alimenta, poi lo vezzeggia, poi lo mette a dormire ecc.), sia un’aspettativa nei confronti degli accadimenti futuri, che altro non é che la percezione cosciente del tempo, la cognizione della successione degli avvenimenti, che a sua volta favorisce la maturazione delle strutture logiche. La maturazione delle strutture logiche significa migliore organizzazione del mondo di pensiero, significa, in ultima analisi, “saper pensare bene”, “saper scegliere meglio”, “saper essere felici”.
Non va inoltre dimenticato, sempre parlando d’alimentazione in termini educativi, che la giusta quantità di cibo e la regolarità di somministrazione inducono inoltre nel bambino sicurezza e fiducia nel mondo. Ciò dipende dal fatto che egli vede i suoi problemi più pressanti – in questo caso la fame – risolti in modo per lui soddisfacente. Il benessere che gliene deriva gli infonde quella fiducia e sicurezza, base essenziale per una vita serena. Egli, in altre parole, vede il mondo, mediato chiaramente dal comportamento della madre, come un universo nel quale ci si può avventurare senza paura. Ciò stimola la sua curiosità e lo rende, peraltro, più intraprendente e sveglio.
Un altro esempio, per illustrare il percorso educativo che i genitori debbono tener presente, riguarda la comunicazione che il bimbo realizza col mondo.
Se é vero che il genitore deve essere disponibile (deve concretamente interessarsi del bambino) ed accessibile (deve permettere un contatto fisico), e questi sono certamente i presupposti di una corretta comunicazione col bambino, é altrettanto vero che questa comunicazione non deve restare sempre totalmente aperta.
Può sembrare un controsenso: chiudere un dialogo quando se ne invoca l’indispensabilità.
Eppure non lo é se pensiamo che per costruire la propria identità psicologica il bambino necessita di “momenti di solitudine comunicativa”, momenti che gli permettono di differenziarsi, primariamente dalla madre, e di porsi al mondo come soggetto con un’individualità precisa e con una propria personalità. Nel caso contrario (ed é di comune osservazione) si va incontro ad una simbiosi con la figura materna dalla quale é difficile staccarsi, e che genera una vasta gamma di patologie psicologiche.
La situazione concreta é quella di un bambino, anche molto piccolo, che, in ovvie condizioni di sicurezza, deve essere lasciato solo (anche se per qualche istante) e che deve poter rendersi conto di questa solitudine (si può lasciarlo piangere minuto prima di avvicinarsi). Quando ciò accade, se il genitore osserva di nascosto, potrà notare che dopo qualche momento di sgomento, il bambino “pur sentendosi solo” (e forse per questo) incomincia una personale esplorazione dell’ambiente: smette di piangere, guarda intorno a sé, tocca gli oggetti che lo circondano, prova ad avvicinarsi al luogo dove soggiornano gli adulti (và verso la stanza dalla quale sente venire la voce della madre), ecc.
Questo momento di isolamento opera nella direzione di costruire un proprio spazio fisico e mentale e di sperimentare le proprie capacità: insegna a “sopravvivere” ed ad “adattarsi”.
E’ naturale che accanto a questi momenti di isolamento e di solitudine, vi debbano essere, più numerosi, i momenti di vero e proprio dialogo, anche in termini prettamente linguistici.
A proposito di comunicazione linguistica tra madre e figli, mi preme sottolineare come vi siano mamme che si rivolgono ai loro figli con la voce in falsetto, deformando le parole, con vezzeggiativi, od altro: questa situazione é molto imbarazzante per il bambino poiché non riconosce la madre che ha sentito e sente parlare sicuramente in altri modi!
E’ capitato a tutti di notare l’espressione perplessa di un bambino quando un adulto gli si rivolge parlandogli in modo “infantile”.
Al bambino bisogna parlare normalmente, sia nel tono come nell’inflessione della voce, senza deformare le parole, con un uso corretto della grammatica. Ne va dell’apprendimento linguistico poiché il bimbo impara da subito la lingua (anche se non parla, non significa che non comprende) a partire da una giusta ritmica (ecco l’importanza del tono di voce) e da una chiara dizione.
Ai bambini si deve parlare con un tono di voce gradevole, senza inflessioni dialettali, in buon italiano (brevi frasi di senso compiuto). Si può parlare di tutto: dalla politica all’economia, dallo sport alla medicina. Loro ascoltano seri ed attenti e vi parrà che lo siano tanto più quanto più l’argomento sarà impegnativo.
Ancora a proposito della vita relazionale, sempre sotto il profilo educativo, un’ulteriore annotazione é che anche i neonati si rendono conto delle debolezze dei genitori e tendono ad approfittarne.
Il bambino ama stare attaccato al seno. Per lui é uno dei momenti più gratificanti: si alimenta, sta tra le braccia della madre, si sente protetto, coccolato. Perché staccarsi? Nel momento in cui questo distacco avviene il bambino tenta di opporsi: piange, si dispera, si agita.
Che fare per impostare anche in questo caso una giusta educazione?
Accertato che il bambino non piange perché ha ancora fame, e questo si controlla facilmente con seguire l’andamento della crescita ponderale (se vi é un aumento di peso costante allora non vi sono problemi), la mamma può lasciar piangere il bimbo (e ciò non gli fa male perché il pianto dilata i polmoni e permette una migliore ossigenazione) oppure distrarlo facendolo giocare: certamente non lo deve riattaccare al seno. Il bambino così impara :
a) che ha un tempo prestabilito per assumere il cibo;
b) che la disponibilità della madre esiste a condizione che lui rispetti alcune regole;
c) che col pianto (od in genere protestando) non si ottiene nulla;
d) che é preferibile sviluppare altri mezzi di persuasione per ottenere ciò che si desidera (sorrisi, parole ecc.).
I risultati concreti dei comportamenti materni menzionati sono:
a) il bambino non presenterà problemi alimentari: mangerà tutto ciò che la madre prepara ed assumerà la quantità di cibo giusta;
b) tra il bambino e la madre si instaura un rapporto di “collaborazione”: la madre sarà disponibile verso il bimbo ogni qual volta le necessità familiari la lasceranno libera di dedicarsi a lui;
c) il bambino si sforzerà di “dialogare” col mondo degli adulti utilizzando i mezzi di comunicazione di questi ultimi (il linguaggio), e quindi l’apprendimento linguistico sarà più precoce e più profondo.
Analoga situazione si presenta, sempre sul piano alimentare, anche quando il bambino è più grande, quando oramai mangia da solo (o quasi). Se fa i capricci di fronte alle pietanze preparate dalla madre, la regola da seguire é quella di permettergli di mangiare quello che é stato messo in tavola: se non gradisce può anche non mangiare, ma non gli viene dato nulla in sostituzione. Quando i componenti della famiglia hanno finito di mangiare la madre ritira ogni cosa ed al pasto successivo al bambino (che nulla ha potuto mangiare nel frattempo) si ripresenta lo stesso piatto. Per fame alla fine mangia quello che é in tavola e si abitua a non fare storie.
Un altro aspetto educativo importante, che si collega alla vita di relazione del bambino, é riassunto nell’affermazione che i figli copiano gli atteggiamenti e tendono a riprodurre i comportamenti dei genitori o delle altre figure parentali (nonni, zii ecc.), in altre parole i bambini sin dai primi giorni di vita osservano e copiano quello che vedono fare ai grandi che stanno intorno a loro.
Il motivo dell’imitazione é chiaro: nel tentativo di “sopravvivere”, e di ottenere quello che desiderano, debbono al più presto imparare ed adottare una serie di “strategie utili a tali fini”. Quando il padre per affermare con la moglie le sue idee alza la voce insegna al bambino che per “aver ragione” basta alzare la voce e gridare. Se la madre simula un malessere per evitare una situazione imbarazzante o poco gradita (la visita di un parente per esempio), il bambino impara che per evitare un problema ci si “può ammalare”. E così via. Tutti i genitori hanno fatto questa esperienza, eppure si meravigliano che i figli siano come loro. Una mamma “nervosa” alleva figli “nervosi”; un papà “tranquillo” cresce figli “pacifici”.
Da questi pochi esempi appare evidente come educare i bambini fin dalla prima infanzia sia estremamente importante, anche se non proprio facile.
I suggerimenti proposti fanno capo al buon senso e necessitano per la loro pratica attuazione solo di qualche informazione tecnica che si può reperire in qualsiasi buon libro di consigli per le mamme.
Ciò che mi é gradito sottolineare, e che non deve essere mai dimenticato, é che ogni qual volta l’adulto compie in relazione ad un bambino un’azione, questa genera “comunque” un insegnamento, costruisce una classe, fornisce una indicazione per un comportamento futuro.
Se si entra in quest’ottica, ed allora occorre porre attenzione ai propri comportamenti, vale la pena di non lasciarsi sfuggire l’occasione ed il momento giusto per insegnare loro a vivere. Ad essere felici.
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