Un milione di anni fa, un giovane ominide vive sempre in movimento in fitti ed intricati boschi, assillato dalla fame e quindi obbligato predatore, ma allo stesso tempo preda lui di numerose specie animali più grandi e grossi di lui. Una vita di corsa, quasi una fuga senza soste, sotto uno stress continuo in condizioni d’allarme perenne: non un attimo di tregua, non una pausa per prendere un po’ di respiro. Un giorno l’ennesimo incontro con un mostro, terribile, astuto, affamato, vorace, che lascia chiaramente intendere che è lui il suo pasto, per quel giorno infausto. La fuga più affannosa che avesse mai messo in atto, l’inseguimento senza scampo, la quasi certezza della morte imminente, la disperazione di non trovare soluzione a quel problema, l’angoscia, una paura profonda e viscerale che svuota la mente e toglie le forze. E quella bestia che non ne vuole sentire di mollare, anche se si è fatta notte. La corsa continua, incessante, in un buio che buca il cuore e strappa la carne dal corpo. Poi, improvvisa, ai primi bagliori dell’alba, quella che si presentava come una via d’uscita, si rivela l’inizio della fine: una parete verticale, alta, liscia come un vetro, si frappone ad impedire di continuare la fuga. Vicino si ode il verso bramoso ed affannato della belva: è finita, è la morte di una vita appena cominciata, appena sbocciata. Le mani cercano un appiglio, uno spuntone, per arrampicarsi e sperare, ma non trovano risposta. Ad un tratto, insperato, si palesa seminascosto un incavo, profondo, stretto. L’ominide s’incunea, spinge con forza l’intero suo corpo nel pertugio, sente il fiato del mostro sulle sue terga, ma trova spazio e penetra, penetra ancora. Il mostro ringhia fuori, non può entrare, s’infuria, tenta di forzare l’ingresso del pertugio, ma nulla, è rimasto fuori. La tensione cede e l’uomo sente svuotarsi di tutte le sue forze, s’accoccola appoggiandosi alla parete di nuda pietra, il battito cardiaco rallenta, il respiro affannoso diviene regolare e lento, la bocca asciutta sente di nuovo la saliva. E’ salvo, almeno per oggi.
Nel buio dell’anfratto l’uomo, pur sfinito, scruta il fondo della grotta poiché un rumore ne ha attirato l’attenzione. E’ di nuovo allarme. Raccogliendo le ultime forze, fa alcuni passi in avanti, pronto ad aggredire, a difendersi, a salvaguardare la propria vita. Non si finisce mai, pensa.
Scorge, seppur indistinta, una figura somigliante, un simile, che forse, come lui, ha cercato scampo e riparo, ma comunque non può abbassare la guardia e si erge minaccioso verso quella presenza. L’atteggiamento remissivo dell’intruso però lo acqueta e restando distanti ciascuno s’appresta a riposare, svuotati di energia dalle fatiche affrontate. Concilia il sonno il rumore d’un rivolo d’acqua che sgorga dalla roccia, scorre tra i sassi e forma una piccola pozza. Rumore rassicurante che induce all’oblio.
Oggi è andata bene, domani chissà, qui sono al sicuro, pensa l’uomo, tornare fuori un problema che affronterò domani.
Cento e più secoli di queste forti emozioni hanno inciso, in modo indelebile, una traccia nel nostro corredo genetico, si sono iscritte, epigeneticamente, nel DNA più profondo, quello primordiale, hanno lasciato un’impronta che non è stata mai cancellata, e che ancor oggi si esprime e si manifesta, di questi tempi, in modo sempre più evidente.
Se il lunedì mattina non avete voglia di alzarvi, di uscire di casa, di andare al lavoro, di incontrare gente, non è perché siete poltroni o depressi, ma perché avete paura di mettere il naso fuori dalla grotta nella quale vi eravate rifugiati per sfuggire al mostro. Sono i nostri progenitori che ci hanno fatto questo regalo. E se è vero che i mostri di una volta non ci sono più, è altrettanto vero che altri li hanno sostituiti.
Oggi
Un giovane uomo tenta di evitare il caos del traffico per arrivare puntuale ad un appuntamento per lui esiziale, poiché potrebbe significare un sicuro posto di lavoro e risolvere ogni problema finanziario. Ma è impresa vana, il mostruoso serpentone di auto lo avvinghia, lo stritola, lo blocca. Alla sua mente appaiono e si materializzano in quella giungla d’asfalto tutti i mostri dai quali fino ad ora era riuscito a sfuggire. Lo aveva inseguito sino a qualche mese prima la vorace agenzia delle entrate, affamata turlupinatrice di tasse, more e sanzioni. Aveva schivato la morsa soffocante della banca, effimera amica agli inizi per poi divenire instancabile sanguisuga. Si era scontrato, senza troppi danni, con la medusa multi teste comunale, per una semplice sostituzione di una persiana di casa, ma sapeva di molti soffocati dai bocconi velenosi della burocrazia degli uffici dell’edilizia privata.
Il serpentone del traffico comincia sinuoso a muoversi. Forse potrebbe arrivare in tempo. L’ansia, sempre più marcata, gli strizza lo stomaco, il respiro diviene più corto, il cuore va a mille, un pervasivo malessere prende piede. Sta per manifestarsi una crisi di panico, che trova la sua apparente motivazione in quel frangente mattutina, ma che rimanda all’attacco del mostro antico ed alla paura di essere sopraffatti. Sino a scoprire l’anfratto salvifico.
E a quanti mostri occorre sfuggire! Un lungo elenco potrebbe scriversi ad annoiare il lettore, i mostri dei nostri tempi che si sono intrufolati nel nostro quotidiano sono innumerevoli, direi che quasi non si contano più.
Ma abbiamo capito come l’anfratto, la grotta, il monotono rumore dell’acqua che sgorga dalla roccia, il nostro simile col quale condividere le difficoltà di ogni giorno, in altre parole la nostra casa, sono l’unica via d’uscita, la salvezza in un mondo difficile. Ed ecco perché uscire il lunedì mattina è faticoso, perché facciamo resistenza a metter il naso fuori, perché le voci della televisione, sempre le stesse, chissà perché, ci rasserenano, ci tranquillizzano, si fanno star meglio.
Siamo figli dei nostri avi primitivi, siamo espressione dei nostri geni, viviamo ancora le loro paure. In fondo nulla è cambiato e nulla cambierà sin quando non avremo compreso a fondo la nostra essenza. Quando sapremo da dove siamo venuti e chi ci ha generati, allora tutte le nostre paure svaniranno come nebbia al sole.