Dedicato ai giovani che iniziano la loro strada nella vita

 Vi è un momento nella giovinezza in cui l’individuo si rende conto che la propria vita dipende solo dalle sue scelte, dalle sue decisioni. Poca o nessuna influenza hanno le persone che lo circondano, come pure le circostanze e gli eventi, passati o presenti.

Il giovane capisce che le proprie azioni sono i semi che sta piantando nel campo, e che da quei semi nasceranno i frutti che più avanti raccoglierà. E se sino ad allora aveva rimandato il tempo della semina, per evitare una responsabilità gravosa, ora intuisce come il termine sia diventato improrogabile. E’ cosciente che non serve sfuggire, scaricare su altri responsabilità che gli competono, chiudere gli occhi e sperare che riaprendoli ogni difficoltà sia svanita, ogni problema risolto. Comprende che deve operare una scelta, che occorre costanza nell’attuarla e perseguirla, che ciò è faticoso e non offre immediate soddisfazioni. Realizza che se è vero che la vita è gioia, gaiezza, felicità, è altrettanto vero che è dura, faticosa, triste, talora vuota, intrisa di rabbia, incomprensibile, senza senso, paradossale, incompiuta. Si convince che così è la vita. Quella che ognuno deve vivere in quanto unica ed irripetibile occasione di esserci, di capire.

Il giovane sogna e vuole realizzare i suoi sogni, nei quali ha trasfuso desideri, aspirazioni, aspettative, chiede al destino almeno un futuro sereno e confortevole, ma percepisce che la strada non è facile, considerate le innumerevoli alternative, tanto più facili da intraprendere quanto più ingannevoli e monche (ciò che promettevano non viene mai mantenuto).

Sa che ora deve scegliere il percorso più consono alla propria persona, facendo conto unicamente su se stessi, sulle proprie risorse, su ciò che si è studiato ed imparato, sulle riflessioni nate dalle proprie esperienze, avendo a riferimento alcuni valori fondamentali quali il rispetto per se stessi e per gli altri (un punto di vista diverso dal nostro può arricchire, non deve essere combattuto ed annientato), l’amore per la verità (le falsità e le bugie sono come una farina avariata: il pane non potrà che essere cattivo), la trasparenza dei comportamenti (se si è consapevoli e responsabili delle proprie scelte nulla impedisce che gli altri ci giudichino, anche quando si sbaglia), l’umiltà che deve contraddistinguere le azioni (la convinzione che si può imparare da ogni accadimento e da chiunque facilita la crescita e la maturazione della personalità), la compassione, ovvero la capacità di partecipare e condividere le emozioni altrui, che aiuta a comunicare, a capirsi.

Sente che ogni esitazione ad intraprendere la strada renderebbe vano ogni suo futuro sforzo, è convinto che domani nessuna recriminazione sarà possibile o mitigherà il suo dolore per aver fallito (a poco servirà infierire anche con se stessi).

Ed ecco che emerge la consapevolezza e la fierezza del prendere nelle proprie mani il destino della propria vita e d’imprimerle la direzione d’un’esistenza creativa, originale, diversa, innovativa, senza ombre, luminosa, gioiosa, allegra, emotivamente coinvolgente, in poche parole felice, ma anche impegnata, responsabile, partecipe, determinata, solidale, amorevole, caritatevole, compassionevole. Non sarà facile, ma provarci è il senso più profondo della vita.

Il bullo e i suoi compari

Il primo punto per affrontare il discorso del bullismo è la definizione, la più chiara ed estesa possibile, del bullo e dei suoi compari.

Chi è il bullo?

La personalità del bullo si delinea e si configura dalle vicende della sua primissima infanzia e ha come capisaldi:

  1. la percezione da parte del soggetto, bimbo di pochi anni, di uno scarso amore nei suoi confronti da parte delle figure parentali e di chi lo circonda
  2. la consapevolezza di non essere in grado di generare affetto o di indurre benevolenza verso di lui
  3. il senso di inadeguatezza nell’affrontare e superare situazioni difficili, emotivamente coinvolgenti
  4. il senso di colpa per le fantasie aggressive verso le figure parentali ed affini alle quali comunque il soggetto vuole sinceramente bene
  5. la continua frustrazione per gli scarsi risultati, in termini affettivi, con la conseguente ansia da prestazione.

A partire da questi presupposti il soggetto per sopravvivere costruisce una sovrastruttura reattiva, che ingloba e nasconde il caos interiore, e che funge da matrice per generare la personalità del bullo ed i suoi comportamenti.

Aggressività, insensibilità (anche al dolore), sprezzo del pericolo, dispregio delle regole, menefreghismo, arroganza, prevaricazione, violenza verbale e fisica, scarsa dedizione allo studio, contrapposizione con gli adulti in specie se rappresentano l’autorità, bugiardo, inaffidabile, infingardo, falso, strafottente, borioso, irresponsabile, mellifluo, arrogante, anaffettivo, freddo, calcolatore, faccia di bronzo, temerario: questi i connotati che lo contraddistinguono e con i quali si ha a che fare. Mai dimenticarne uno, potrebbe essere proprio quello il grimaldello usato dal bullo per sopraffare la sua vittima.

Chi sono i suoi compari?

I compari del bullo, i suoi tirapiedi, appartengono alla categoria dei mediocri vigliacchi: da soli non sono in grado di offendere nessuno per totale assenza di coraggio, avendo comunque in mente il desiderio di ferire coloro dai quali si sentono umiliati. Vivono un complesso di inferiorità che cercano di nascondere in tutti i modi adottando comportamenti quasi sempre falsi e melliflui, sono invidiosi poiché sono consapevoli, e ciò provoca risentimento, della loro pochezza.

Ai quadri suddetti, così delineati, va data ampia pubblicità con cartelli affissi negli anditi della scuola, in classe con gli specifici richiami della personalità del bullo e dei suoi compari (che vanno sempre citati perché sono l’humus nel quale cresce e dal quale si alimenta il fenomeno), ed ancora sul sito internet della scuola o sui social che gli studenti frequentano con slogan (da approntare) semplici ed efficaci.

Se siamo convinti che la comunità scolastica debba essere considerata il prototipo di una società in miniatura, e poiché è bene che le problematiche intercorrenti tra gli studenti siano risolte tra di loro, si suggerisce di lasciare agli studenti il compito di affrontare i casi di bullismo, riservando agli adulti il compito di supervisionare procedure e risultati oltre quello di ratificare le decisioni prese dagli studenti stessi.

A tal fine è utile la creazione di un gruppo di supporto per tutti coloro che si trovassero in difficoltà, formato da studenti di varie classi, selezionati e nominati dai docenti, al quale potersi rivolgere ogniqualvolta si verificassero episodi di bullismo. Tale organo, composto da otto studenti, nominati dal collegio dei docenti, dovrebbe avere una sede nella scuola, un recapito, un referente sempre reperibile, una propria autonomia. Tutti gli studenti dell’istituto dovrebbero essere messi al corrente della sua esistenza e delle sue funzioni oltre che delle modalità e i riferimenti da utilizzare per rivolgersi a loro.

Al gruppo verrebbe attribuito il potere di convocare, sentire, esaminare gli attori del problema bullismo, ovvero il bullo, i suoi compari, gli studenti oggetto dei soprusi, per poi decidere quale condotta suggerire e far rispettare, per incanalare le vertenze verso una vita sociale soddisfacente per tutte le parti.

Il gruppo ricevuta la segnalazione o la richiesta d’aiuto, avrebbe il potere di indagare sui fatti segnalati, di convocare il bullo e i suoi eventuali compari, come pure i soggetti che avessero subito il sopruso, sentendoli per avere chiaro il nocciolo del problema. In seconda istanza convocherebbero tutti i protagonisti della vicenda davanti un’assemblea degli studenti dell’istituto, per esaminare collegialmente i fatti accaduti e per mettere a nudo i comportamenti emersi.

L’assemblea ha il significato di coinvolgere l’intero gruppo degli studenti per renderli partecipi e corresponsabili della vita sociale di quella comunità. E come in ogni società che si rispetti a qualcuno deve essere dato il compito di amministrare la giustizia (perché non educare i giovani da subito a districarsi nelle controversie?), con il potere di emettere una sentenza vincolante per gli attori, sentenza alla quale poi gli organi scolastici darebbero seguito senza alcuna interferenza.

Il bullo potrebbe decidere di non presentarsi perché non riconosce l’autorità del gruppo, ma dopo una seconda convocazione se non si presentasse interverrebbe il preside sospendendolo per una settimana, la prima volta, per quattro se mancasse anche la seconda convocazione, per otto se non si presentasse neanche alla terza. Certamente verrebbero sentiti i suoi genitori ai quali il gruppo esporrebbe il caso cercando di coinvolgerli positivamente.

Non mancherebbe la convocazione per i suoi compari che, in assenza del capo, saranno pronti a tradirlo, è la loro natura, e a chiedere scusa promettendo di non cadere più nell’errore (ovviamente in attesa del ritorno del capo).

Se l’obiettivo educativo di una madre nei confronti del figlio in tenera età è quello di avviarlo verso l’autonomia (purtroppo oggi molti genitori disattendono questo traguardo), il compito della scuola, oltre ad istruire, è quello di responsabilizzare gli studenti a prendere in mano la loro vita per costruire una condotta sociale rispettosa, positiva, e con riferimenti morali e spirituali certi.

La trasmissione di responsabilità avviene con la cessione di poteri agli studenti, che debbono imparare a gestire le problematiche tipiche delle relazioni giovanili, bullismo compreso, tra di loro, senza dover far riferimento agli adulti, che saranno solo spettatori di un percorso di crescita opportunamente avviato e supportato.

La ratio sta nel fatto che proprio attraverso il coinvolgimento e la compattezza della gran parte degli studenti si può vincere prima la battaglia e poi la guerra nei confronti di quei pochi prepotenti, e dei loro accoliti, che infestano le scuole e creano disagi nei confronti di chi invece intende la scuola come luogo di studio, di formazione e di crescita personale e collettiva.

La prima buca

Quando eravamo bambini, uno dei giochi preferiti era la gara con le biglie di vetro nella pista scavata nel tufo. La predisposizione del percorso, realizzato con la collaborazione di tutti, iniziava da un tracciato lungo e tortuoso che andava scavato nel tufo, tracciato corredato di numerose buche che si completava con una rifinitura meticolosa: la lisciatura di tutte le pareti ed intorno alle buche, tale che le biglie trovavano difficoltà nel fermarsi in un qualsiasi punto, salvo esaurire completamente la spinta e l’abbrivio. Il percorso iniziava solitamente con una lieve salita che curvava a gomito e subito appresso veniva collocata una buca, inevitabile e difficilissima da superare. La regola generale era che quando si cadeva in una buca si tornava alla partenza.Quasi nessuno era in grado di superare quel primo tratto di percorso ed era tanta la fatica di dover tornare sempre a cominciare che alla fine venne presa la decisione di iniziare da dopo quella prima, difficilissima, maledetta buca. Che restava lì a memento.Diveniva così tutto più facile, interessante ed era sempre divertente.Oggi, nel leggere un articolo comparso sulle Scienze sul come si formarono i primi buchi neri massicci, riflettendo sulle modalità col le quali la scienza affronta i problemi della conoscenza, mi è apparsa evidente la somiglianza con il gioco della pista e della buca impossibile.Anche gli scienziati di fronte all’impossibilità di studiare l’origine prima dei fenomeni, adottano la strategia di saltare la prima buca e di cominciare la gara, ovvero la ricerca, subito dopo questa.Il problema sta nel fatto che questo approccio è ormai diventata la prassi in ogni ambito scientifico e personalmente ritengo sia un impedimento di notevole peso nella ricerca della conoscenza più profonda. Di certo facilita i percorsi che s’intraprendono, ma pone un limite che non dovrebbe esistere nell’arco dell’orizzonte: è come voler vedere con un occhio solo e l’altro socchiuso. Forse è il caso di aprirli entrambi e sgranarli come fanno i bambini, che sono i soli a vedere senza alcun pregiudizio.Prendiamo in esame il big bang. Poco prima del momento iniziale, viene ipotizzato, la temperatura del “seme” era di valore infinito, e quindi, stando alle regole della fisica, le particelle che generavano il calore si muovevano a velocità infinita! Esiste allora qualcosa che sembrerebbe superare la velocità della luce! Lo stesso processo inflazionario dovrebbe essere avvenuto a velocità superiori a quella della luce, ma, si dice, quel momento fuoriesce dalle regole di funzionamento dell’universo, ecco la prima buca insormontabile, ed allora non teniamone conto.Se i miei ricordi da studente di fisica non m’ingannano, l’angolo del cono che disegna l’universo nella sua evoluzione, poi considerato piatto per facilitare i calcoli, dipende dalla velocità della luce, aumentando la velocità l’angolo cresce e diventa angolo giro quando la velocità della luce diviene infinita (il big bang si proietta in tutte le direzioni per come il senso comune vuole).La velocità della luce, un parametro fondamentale per tutta la fisica moderna, ma, pensateci bene, un limite, estremamente condizionante, all’orizzonte della conoscenza. Concludo sottolineando il fatto che se nell’universo la materia nota e quella sconosciuta, nata dal big bang, è un valore finito, che cosa, se non la velocità delle particelle elementari può essere la variabile che l’ha costruito come lo conosciamo?